di Andrea Musso (Elemens)
A partire dal 2021 abbiamo assistito ad una progressiva semplificazione delle procedure di permitting per gli impianti eolici e soprattutto per quelli fotovoltaici. Uno step preliminare, anche se non necessariamente inquadrabile nell’ambito delle semplificazioni quanto piuttosto di una razionalizzazione (e accentramento) di parte del processo di permitting ha riguardato l’istituzione della procedura di VIA ministeriale, prima per l’eolico (in realtà già dal 2017) e successivamente per il fotovoltaico, mentre a partire dal 2021 sono state gradualmente introdotte procedure di permitting alternative, come la PAS, per il fotovoltaico di piccola taglia in area idonea o in area industriale.
Con il recente DL PNRR questo tipo di semplificazione, rivolta ad impianti localizzati in aree già fortemente antropizzate, è stata rafforzata ulteriormente. A partire dall’entrata in vigore del DL l’installazione di impianti fotovoltaici in area industriale (o ex-cava, discarica, etc.) viene considerata attività di manutenzione ordinaria: pertanto, non richiede l’ottenimento di alcuna autorizzazione.
Già dalla loro introduzione, si è acceso un dibattito sull’efficacia di questi nuovi strumenti, in particolar modo relativo all’uso della PAS, strumento che richiede che il proponente si attivi mappando tutti i possibili enti coinvolti e ottenendo da ciascuno di essi il via libera.
Ottenuti tutti i necessari nulla osta, il proponente si può rivolgere al Comune, depositando la richiesta. In questo caso, con la PAS l’abilitazione alla costruzione può essere raggiunta seguendo percorsi differenti:
a) Tramite il meccanismo di silenzio assenso dopo 30 giorni dalla richiesta (l’assenza di perfezionamento pone dubbi sulla la solidità del titolo autorizzativo, con inevitabili ricadute sulla sua finanziabilità).
b) In esito ad una Conferenza dei Servizi istruita dal Comune (seguendo questo percorso la semplificazione rispetto all’AU diventa davvero sottile).
c) Richiedendo al Comune di redigere una dichiarazione che attesti l’effettivo rilascio della PAS (la dichiarazione aiuta a supportare la validità del titolo).
Nel caso si decida di non affidarsi al meccanismo di silenzio assenso, la semplificazione rispetto all’AU risulterebbe molto più lieve; anzi, nel caso della PAS, il proponente ha l’onere di mappare tutte le interferenze del progetto e quindi di richiedere in autonomia i nulla osta agli enti coinvolti, tornando a un modello pre 387/2003 (e dunque, pre autorizzazione unica). L’unico – ma decisivo – vantaggio è piuttosto quello di spostarsi dalle affollatissime regioni ai Comuni (almeno fino al momento in cui anche i Comuni si troveranno sovraccaricati di richieste).
Molti dei ragionamenti sulla “precarietà” del titolo abilitativo fatti per la PAS valgono, per il vero, amplificati, anche per i nuovi strumenti di edilizia libera. Non essendo necessaria alcuna procedura di permitting il proponente parrebbe poter procedere direttamente alla costruzione dell’impianto (ovviamente garantendosi i diritti sul terreno e possedendo una soluzione di connessione alla rete). L’assenza di un vero e proprio titolo abilitativo evidenzia una serie di criticità in fase di project financing e, anche se si ipotizzasse di realizzare l’impianto in full equity, i dubbi sulla solidità del titolo rimarrebbero comunque molti. In altri termini, chi si prenderà la responsabilità di realizzare un impianto – magari con notevole intensità di investimento, visto che lo strumento è applicabile anche a progetti di taglia significativa – in assenza di un vero titolo abilitativo?
I prossimi mesi ci riveleranno che tipo di reazione avrà il mercato e se a livello centrale verrà presa qualche precauzione per tutelare gli investitori.