Di Fausta Chiesa, Corriere Economia
Serve accelerare e semplificare per raggiungere i target al 2030. Eppure, progetti eolici su dieci attendono ancora l’ok definitivo e ci vogliono quasi due numi per il fotovoltaico. Ce meno burocrazia, ma le Regioni negano il consenso. E il decreto «aree idonee» non piace agli operatori: è restrittivo. La partita da vincere? L’indipendenza energetica…
Oltre tre anni e mezzo per l’eolico (per l’esattezza 43 mesi, sia nel 2023 sia nella media del periodo 2019-2022) e con soltanto l’8% dei progetti autorizzato, mentre oltre nove progetti su dieci attendono ancora di avere una risposta definitiva. Per il solare i tempi del cosiddetto «permitting» sono più veloci, ma si sono allungati: 22 mesi in media nel 2023 ed erano 17 tra il 2019 e il 2022, son un tasso di autorizzato al 16 per cento. Un allungamento dei tempi dovuto (anche) al fatto che i progetti da vagliare sono cresciuti: per il solare a 65 Gigawatt e per l’eolico a 36 Gw. I dati, elaborati per il Corriere dall’ Osservatorio REgions2o3o (progetto di Elemens e Public Affairs Advisors), rilevano una situazione che gli addetti ai lavori conoscono bene: «Dopo il 2013 — spiega Tommaso Barbetti, founding partner di Elemens — la crescita delle installazioni ha tirato il freno, prima per la fine del Conto Energia che dava incentivi generosi e poi perché i permessi si sono inceppati a fronte di un ritrovato interesse degli operatori che, raggiunta la competitività delle rinnovabili, hanno ricominciato a pianificare investimenti».
Un quadro complesso
Ma ora siamo in piena transizione ecologica e, se vogliamo raggiungere gli obiettivi fissati per il 2030, al posto di avere il freno a mano dobbiamo ingranare la quinta. Infatti, siamo già indietro rispetto al livello di copertura di consumi finali lordi di energia rinnovabile rispetto agli obiettivi nazionali. Nell’elettrico, la quota da fonti green nel 2021 è al 36%, contro un dato preventivato del 37,5 %. Il settore termico è al 19,7% con un target del 22,1% e i trasporti all’8,2% rispetto all’obiettivo del 9,9%. I nuovi target salgono al 55% per l’elettrico, al 33,9% per il termico e al 22% per i trasporti (dati del documento «Le fonti rinnovabili», Servizio Studi della Camera dei Deputati, agosto 2023). Servono più sole e vento, fonti pulite che, assieme all’idroelettrico, sono oggi disponibili e competitivi. In base alla proposta di aggiornamento del Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) che il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha presentato a Bruxelles in estate e che dovrebbe essere adottato entro giugno 2024, il fotovoltaico (che oggi ha a 28,1 Gw di installato) e l’eolico (12,3 Gw) entro il 2030 devono crescere rispettivamente di altri 55gigawatt e 16,3 Gw di potenza. Se la matematica non è un’opinione, dobbiamo aggiungere quasi 8 Gw di sole e 2,3 Gw di vento all’anno. «I traguardi posti richiedono un’accelerazione», scrive il documento della Camera.
Le strade individuate sono due: le semplificazioni dell’iter autorizzativo e l’individuazione delle cosiddette «aree idonee» nelle regioni. «La burocrazia autorizzativa è stata parzialmente semplificata — dichiara Agostino Re Rebaudengo, presidente Elettricità Futura— ma il problema vero è che le Regioni continuano a negare le autorizzazioni, vanificando le semplificazioni fatte dal governo. A complicare il quadro si aggiunge che i tanti (pur apprezzabili nell’intento) interventi di semplificazione sparsi in diverse norme hanno contributo a creare un quadro complesso, con l’effetto spesso contrario a quello desiderato: non mancano casi in cui non sia chiaro quale sia il procedimento da seguire. E urgente quindi un riordino delle disposizioni e la costruzione di un quadro chiaro del permitting per le diverse tipologie di impianti».
Poi c’è il decreto Aree idonee, che — dopo una lunga attesa da parte dell’industria del settore — è stato predisposto dal Mase in concerto con il ministero dell’Agricoltura e quello della Cultura. Il documento stabilisce i criteri per definire idonea un’area e fissa gli obiettivi minimi, intermedi e finali che ciascuna Regione e Provincia autonoma devono raggiungere: in testa la Sicilia (tra le Regioni più virtuose in quanto a velocità di concedere o negare le autorizzazioni) che dovrà installare 10,3 GW, poi la Lombardia con 8,6 GW, la Puglia con 7,2 GW, l’Emilia Romagna e la Sardegna entrambe con 6,2 GW a testa, la Toscana 4,2 GW, la Calabria 3,1 GW, il Veneto circa 5,7 GW, il Lazio 4,7 GW. A che punto è? «Il decreto — spiega Giovanni Galgano, managing director di Public Affairs Advisors — è al vaglio della Conferenza Stato-Regioni che sta facendo ancora valutazioni. Se fosse approvato a breve, diciamo a inizio 2024, scattano poi 18° giorni durante i quali le regioni devono individuare le aree idonee. L’applicazione esecutiva sarebbe verso la fine del 2024». Insomma, anche se filasse tutto liscio i tempi sarebbero ancora lunghi, ma il testo così com’è agli operatori non piace. I limiti delle aree idonee sono troppi. «In assenza di correttivi— sostiene Re Rebaudengo — questo decreto fermerà lo sviluppo delle rinnovabili e della filiera industriale in Italia e bloccherà investimenti per 320 miliardi, rendendo impossibile raggiungere il target nazionale di decarbonizzazione». Ma paradossalmente il vero grande nodo del decreto sono le aree normali (cioè quelle che non sono né idonee né non idonee). «Nelle aree normali — spiega Barbetti — il decreto prevede che si applichino criteri dimensionali: se si intendono realizzare impianti fotovoltaici standard sarà necessario disporre di terreni per una dimensione superiore di almeno dieci volte alla superficie occupata dall’impianto, a meno che non si preveda la realizzazione di impianti di agri-voltaico avanzato. Se si mantengono questi criteri sarà impossibile realizzare solare fuori dalle aree idonee perché bisognerebbe acquistare o affittare superfici enormi».
Poi c’è il fronte del No dei governatori del Sud, inaugurato dal presidente della Regione Siciliana Renato Schifani, che in primavera ha minacciato uno stop al fotovoltaico, perché non porta lavoro né soldi sul territorio. «Le compensazioni — spiega Galgano — finora vanno soltanto ai Comuni (fino al 3% del fatturato annuo dell’impianto ospitato) e le Regioni secondo le norme attuali non ricevono nulla». Nel question time alla Camera l’11 ottobre il ministro Gilberto Pichetto Fratin ha dichiarato: «Stiamo lavorando a una norma che garantisca un’incentivazione alle Regioni a rispettare i target previsti al 2030 mediante risorse da ripartire fra le stesse per l’adozione di misure per la decarbonizzazione». Conclude Re Rebaudengo: «La crisi in Medio Oriente si aggiunge all’emergenza energetica della guerra in Ucraina e solo un vero colpo di reni verso l’indipendenza energetica può mettere in sicurezza l’Italia».