Considerate incostituzionali gran parte delle misure: dalla violazione della potestà legislativa nazionale alla retroattività fino alle deroghe previste dall’art. 3
di Quotidiano Energia
Sono numerose e articolate le motivazioni che hanno portato il Cdm, nella seduta del 28 gennaio, a impugnare davanti alla Corte costituzionale la legge n. 20/2024 della Regione Sardegna sulle aree idonee Fer.
Dal lungo documento pubblicato sul sito del Dipartimento per gli Affari regionali e le Autonomie, emerge infatti che la legge “è censurabile relativamente a diverse disposizioni” che “eccedono dalle competenze statutarie riconosciute alla Regione Sardegna dallo Statuto Speciale”, ponendosi “in contrasto con la normativa statale di riferimento”.
Uno dei punti chiave è inoltre la retroattività, ossia l’applicazione agli impianti per i quali il procedimento autorizzativo si sia già concluso, “in contrasto con i principi di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, di certezza del diritto e del legittimo affidamento, nonché di libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 della Costituzione”.
Contestate anche le deroghe previste all’art. 3 a favore dei Comuni, che “oltre a sovrapporre profili amministrativi e politici, si pongono in contrasto con la disciplina nazionale del procedimento amministrativo”, violando inoltre la lettera s) dello stesso articolo 117, secondo comma della Costituzione che affida allo Stato la tutela dei beni culturali e paesaggistici.
La violazione della potestà legislativa
La legge regionale, precisa il documento, non trova giustificazione normativa negli artt. 3 e 4 dello Statuto speciale di autonomia, dato che essi ammettono l’esercizio della potestà legislativa concorrente della Regione Sardegna in materia di “produzione e distribuzione dell’energia elettrica” a condizione che essa sia esercitata in “armonia con la Costituzione” e con “i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica”, nonché nel “rispetto degli obblighi internazionali”, degli “interessi nazionali” e delle “norme fondamentali delle riforme economico-sociali”, quali sono anche le “norme interposte” di cui agli articoli 20 e 23 del decreto legislativo n. 199 del 2021.
Inoltre, “è indubbio che la Regione Sardegna non gode di potestà normativa primaria in materia di tutela del paesaggio”, che è attribuita in via esclusiva allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in quanto lo Statuto speciale attribuisce alla Regione competenza legislativa esclusiva nella diversa materia “edilizia e urbanistica”, che corrisponde sostanzialmente a quella del “governo del territorio”.
Dunque, la Regione Sardegna “non ha una competenza normativa primaria in materia di tutela dei beni paesaggistici (non prevista dallo Statuto), ma ha piuttosto competenza in ordine all’elaborazione del Piano paesaggistico, limitata a quella componente di pianificazione che può astrattamente essere ricondotta alla pianificazione urbanistico-edilizia”.
Quale che sia l’ambito materiale in esame, “il legislatore regionale non può porre norme che deroghino alla normativa di promanazione europea e statale in materia di promozione delle energie rinnovabili, anche sotto il profilo paesaggistico”.
Il Governo ricorda peraltro che il DM Aree idonee è stato sospeso dal CdS nella parte in cui sembrerebbe lasciare alle singole Regioni la facoltà di restringere il campo di applicazione delle aree “immediatamente” idonee ai sensi dell’art. 20, comma 8, del D. Lgs. n. 199/2021. Il che “conferma la rigidità delle norme statali in materia e l’esiguità dello spazio lasciato alla disciplina regionale”.
Il dettaglio degli articoli
Il documento premette che “l’inadeguatezza di una determinata area o di un determinato sito a ospitare impianti da fonti rinnovabili deve derivare, non già da una qualificazione aprioristica, generale e astratta, bensì all’esito di un procedimento amministrativo che consenta una valutazione, in concreto, delle inattitudini del luogo, in ragione delle relative specificità”.
L’articolo 1, comma 5, letto in combinato disposto con gli Allegati A, B, C, D ed E, prevede invece “una imponente casistica di aree interdette” che interessa “la maggior parte del territorio regionale”, impedendo “la necessaria valutazione sincronica dei diversi interessi di rilievo costituzionale”.
Il vizio diventa più evidente se si considerano non i singoli vincoli isolatamente, ma la loro connessione “a pettine” in una “rete” di centinaia di divieti variamente intrecciati fra loro, afferma il Governo.
Venendo al nodo retroattività (articolo 1, comma 5), “non v’è dubbio che la richiamata previsione si ponga in contrasto con il generale principio di certezza del diritto, che vede, tra i propri corollari, il principio della tutela del legittimo affidamento”.
Con l’articolo 1, comma 7, inoltre, il legislatore regionale introduce il cosiddetto “criterio di non idoneità”, ai sensi del quale, nel caso in cui un progetto di impianto ricada sia nelle aree idonee che non idonee, prevale la non idoneità. “Appare evidente che lo stesso si pone in contrasto con il principio eurounitario dell’interesse pubblico prevalente alla diffusione dell’energia da fonte rinnovabile e quindi con l’articolo 117, primo comma, della Costituzione”, rimarca l’Esecutivo.
Venendo alla disciplina degli interventi di rinnovo e ristrutturazione (revamping e/o repowering), si pongono “questioni di chiarezza normativa e di certezza del diritto”, non specificando se le misure “debbano valere solo per il futuro oppure debbano riferirsi anche ad interventi già assentiti, alla data di entrata in vigore della legge”.
C’è poi il tema degli impianti offshore (articolo 1, comma 9): le previsioni “non appaiono in linea con la disciplina prevista dal decreto legislativo n. 199 del 2021”, secondo cui “è solo nel caso della terraferma che spetta al legislatore regionale, sulla base dei criteri e delle modalità stabilite con il DM 21 giugno 2024, procedere all’individuazione con propria legge delle aree idonee”.
Infine anche l’articolo 3, che prevede una limitata possibilità di intervento nelle aree dichiarate non idonee, “presenta profili di incostituzionalità”.
Le misure di semplificazione ed accelerazione rischiano infatti “di creare eccezioni rispetto all’ordinario funzionamento della conferenza dei servizi”. La legge regionale, prevedendo l’unanimità nell’assunzione delle decisioni in merito all’istanza propedeutica alla realizzazione di un impianto o di accumulo Fer, all’interno di un’area individuata come non idonea, nonché la non applicazione del silenzio-assenso, “tradisce la ratio dell’istituto della conferenza dei servizi”.
Infine, la possibilità di dare via libera a un progetto tramite “un’intesa politica tra enti territoriali persino in aree soggette a tutela culturale o paesaggistica per le quali la normativa statale vigente prevede un procedimento autorizzatorio ad hoc da parte della soprintendenza competente”, comporta “un sensibile affievolimento della tutela dei beni culturali e paesaggistici, in contrasto con il quadro normativo statale di riferimento”.