Intervista al presidente della Commissione regionale: “Risultati raggiunti tutelando agricoltura e proprietari dei terreni”. Agrivoltaico? “Deve garantire sinergia tra i due settori”. E sulle compensazioni: “Norma da riproporre”
Di Romina Maurizi, Quotidiano Energia
La Sicilia ha conquistato un primato sulle autorizzazioni degli impianti rinnovabili. Sono i numeri a dirlo. In base ai dati dell’Osservatorio R.E.gions 2030, l’iniziativa di Elemens e Public Affairs Advisors con Quotidiano Energia media partner, la Regione svetta sul fronte fotovoltaico, con 5,9 GW autorizzati dal 2019 (il 39% del totale), e si posiziona al secondo posto, dietro la Puglia, per l’eolico con 753 MW (il 24% del totale sempre dal 2019).
Performance che derivano dalla forte attrattività del territorio regionale per collocazione geografica e caratteristiche: la Sicilia è infatti in testa per il numero di richieste per progetti FV presentate dal 2019 (25,7 GW, il 30% del totale) e terza per quelli eolici (6,9 GW, il 16% del totale sempre dal 2019). Ma non solo, il trend dipende infatti anche dall’accelerazione impressa agli iter. Ne è una riprova la crescita dei pareri rilasciati dalla Cts, la Commissione tecnica specialistica per le autorizzazioni ambientali di competenza regionale: dai 452 Pic (pareri istruttori conclusivi) del 2020 si è passati a 812 nel 2023, di cui 360 relativi a progetti sull’energia (tra questi 180 FV, 105 agrivoltaici e 61 eolici).
Anche a parole la Regione conferma di voler giocare un ruolo guida nelle Fer. La Sicilia “vede con favore gli investimenti capaci di mettere a fattor comune la sostenibilità ambientale e territoriale. Siamo orgogliosi di fare da capofila nella transizione energetica italiana”, ha dichiarato il presidente della Cts, Gaetano Armao, in occasione di un evento organizzato da R.E.gions a Palermo il 13 maggio. Fermo rimanendo, afferma Armao in questa intervista rilasciata a QE, la necessità di tutelare i diversi interessi in campo e di rilanciare la norma sulle compensazioni economiche perché “anche la Regione che ospita un impianto rinnovabile deve avere un riconoscimento per creare sviluppo e servizi al territorio”.
Presidente, partiamo dai numeri: come sono stati raggiunti questi risultati sulle autorizzazioni Fer?
La Regione ha una sua attrattività naturale. La Commissione tecnico specialistica ha accelerato notevolmente la propria attività, le amministrazioni hanno anch’esse accelerato anche alla luce di alcune modifiche normative che hanno semplificato le procedure. Il mix tra propensione naturale della Sicilia per le rinnovabili e semplificazioni normative, soprattutto per quanto riguarda le valutazioni ambientali, hanno consentito di raggiungere le ottime performance sul piano dell’emanazione dei provvedimenti autorizzativi. Questo conseguimento di target importanti per la transizione ecologica è ancor più significativo se riguardato sotto il profilo della particolare richiesta di requisiti che interessa la Sicilia e non il resto del Paese. Alcune norme nazionali hanno portato infatti a esacerbare gli animi, prevedendo la possibilità dell’esproprio dei terreni per la realizzazione degli impianti eolici. In Sicilia questo non è possibile perché l’espropriazione è ammessa soltanto per il collegamento tra l’impianto e la cabina del sistema elettrico. Per gli impianti è invece prescritta la disponibilità giuridica dei terreni che non vuol dire proprietà ma diritto di superficie, affitto e altre forme. Questo ha fatto sì che, per esempio, nelle procedure Mase nelle quali diamo il parere, abbiamo espresso quasi sempre parere negativo sulla scorta anche di un orientamento della giurisprudenza siciliana che ha ritenuto non praticabile lo strumento espropriativo per l’acquisizione dei terreni ove allocare gli impianti. Non è un automatismo, come dimostrano i nostri dati, che la tutela delle ragioni della proprietà e dell’agricoltura impediscano la realizzazione degli impianti.
Restando sull’agricoltura, già da tempo gli operatori presentano soprattutto progetti agrivoltaici perché sono quelli con più possibilità di essere autorizzati dalle Regioni. Qual è il vostro approccio?
Riscontriamo in effetti un importante tasso di crescita dell’agrivoltaico. Ormai di impianti fotovoltaici a terra, come quelli che sono stati preclusi dal Governo per il futuro con il DL Agricoltura, se ne propongono abbastanza pochi. Come ricordano le linee guida del Mase e come teorizza il Consiglio di Stato nella ricostruzione giuridica che ne è stata fatta con una sentenza della V Sezione del 2023, un’impresa che propone un agrivoltaico deve essere un’impresa con un’attività di tipo ibrido perché svolge contemporaneamente un’attività agricola e una di produzione energetica e tutte e due devono essere economicamente sostenibili, determinando profili di sinergia tra i due settori e non la cannibalizzazione di un settore sull’altro. Se nell’agrivoltaico il ‘voltaico’ cannibalizza l’agricolo ed è la vera ragione dell’impresa, l’agricolo non è altro che una sorta ‘foglia di fico’ messa per giustificare la denominazione. Pertanto se sotto l’impianto fotovoltaico coltivo la sulla, il rosmarino, l’origano, noi bocciamo questi progetti perché non garantiscono nessun tipo di redditività. Le faccio un esempio: nei giorni scorsi abbiamo detto ‘no’ a un progetto di agrivoltaico dove l’investimento per il ‘voltaico’ era di 70-80 milioni di euro, mentre la redditività attesa per la parte agricola era 20.000 euro annui. Questo non è immaginabile, noi facciamo uno screening molto rigoroso. L’agrivoltaico ha tra l’altro anche la funzione di ricondizionare i territori, aumentando la produzione o la sua qualità grazie all’ombreggiamento. Questo è il senso dell’agrivoltaico per noi.
La moratoria della Sardegna e lo stop del Governo a nuovi progetti per il FV a terra in aree agricole richiamano la necessità di migliorare il dialogo e soprattutto di individuare soluzioni per superare le contrapposizioni e coniugare i diversi interessi in campo. Qual è la vostra linea?
La Sardegna si sta ribellando, si stanno ribellando gli agricoltori e l’errore, quello che ha esasperato gli animi è l’espropriazione dei terreni, che va bene per i cavidotti, ma non per gli impianti. In questo caso perché non andare a parlare con i proprietari dei terreni? Il regolatore deve interrogarsi: se c’è tanta frizione sociale e reattività, aver dato uno strumento di questa potenza non ha aiutato la transizione, anzi ha creato contromisure così forti che stanno rallentando la transizione. Abbiamo su questo una querelle con il Mase che ci chiede di consentire il meccanismo espropriativo e invece noi ribadiamo il nostro ‘no’.
Quanto alla norma del DL Agricoltura, la Cts non può che plaudire alla decisione di bloccare nuovi progetti di fotovoltaico in aree produttive: tra zone Sin, aree dismesse, cave ed altro andare a coprire superfici a terra è eccessivo, l’idea di mettere un punto è azzeccata.
All’evento di Palermo ha parlato della creazione di “laghetti” legati agli impianti Fer, di cosa si tratta?
Stiamo accompagnando la costruzione sia di impianti eolici che fotovoltaici prevedendo la creazione di piccoli laghi che consentano sia la prevenzione di incendi che la realizzazione di zone umide per contrastare la siccità. Quindi una semi-compensazione per il territorio, utile anche al proponente. Un’altra cosa che abbiamo deciso è che sia le torri degli impianti eolici che i pali di controllo dei fotovoltaici rechino una telecamera che registri eventuali fonti di calore. Vogliamo così dare vita a una rete di telecamere, collegata al nostro sistema di Protezione Civile, per monitorare soprattutto nelle zone più remote della Sicilia – dove in genere vengono collocati gli impianti rinnovabili – in modo da rafforzare il controllo per il contrasto agli incendi. Con queste iniziative il sistema delle rinnovabili diventa anche un sistema a servizio e tutela del territorio.
A proposito di compensazioni, lo scorso anno fu proprio la Sicilia a porre per prima la necessità di un ritorno economico per le Regioni sedi di impianti rinnovabili. Il Governo aveva recepito la richiesta nel DL Energia, poi criticata dalla Conferenza delle Regioni e infine stralciata dal Parlamento. Cos’è che non andava nella norma?
La norma per noi andava bene, il presidente Schifani ne è stato appunto il promotore. Il tema delle compensazioni riguarda 3-4 Regioni che hanno il carico più pesante, quando è andata in discussione è prevalsa la linea delle amministrazioni meno interessate. È importante che la norma venga riproposta. Rimane infatti la questione di merito: anche la Regione deve avere un riconoscimento economico per creare sviluppo, crescita e servizi al territorio.